In quest’ultimo mese negli USA la Net Neutrality è un argomento all’ordine del giorno. Ma quanti qui in Italia ne hanno sentito parlare? Ecco un piccolo riassunto di quello che sta succedendo oltre Oceano, riguardo ad un tema molto attuale, con ricadute rilevanti in termini di uguaglianza, libertà di scelta, di opinione, di espressione.
Una possibile definizione di Net Neutrality
Heather West, Mozilla’s Senior Policy Manage, la esprime così:
“È l’idea che il tuo provider di servizi internet – che esso sia Comcast, o Verizon, o chiunque altro – non possa avere la possibilità di scegliere quale servizio o contenuto tu possa vedere, o di far pagare i siti affinché i loro contenuti vengano caricati più velocemente”.
Per partire è necessario, dunque, dire due parole riguardo ai provider di servizi internet o ISP, in quanto coinvolti nella vicenda.
Un provider di servizi internet è una società che permette l’accesso ad internet a pagamento. Oggi la maggior parte degli operatori di telecomunicazioni sono anche ISPs, che forniscono, oltre all’accesso ad Internet, servizi quali la registrazione e manutenzione del dominio e l’hosting di pagine web. I principali ISPs statunitensi sono AT&T, Verizon e Comcast.
Negli USA, al momento, permane una situazione per cui solo il 38% degli americani ha possibilità di scegliere tra più provider di servizi internet, mentre la restante percentuale si trova soggetta ad una condizione di monopolio, o in piccola parte non ha accesso alla rete. Il fatto che i consumatori si trovino nell’impossibilità di passare ad un altro ISPs ha incoraggiato in passato, e incoraggia tutt’ora, i maggiori players a comportamenti prevaricanti nei confronti degli utenti.
Nel 2015 Stati Uniti intraprendono una strada in direzione della Net Neutrality
Due anni fa, grazie ad una modifica legislativa – volta finalmente ad accogliere i principi di net neutrality – la FCC (Federal Communication Commission), ovvero l’organo preposto al controllo del mercato delle comunicazioni negli USA, si garantisce la possibilità di proibire agli ISPs determinate pratiche: dare la precedenza, in termini di velocità di connessione, a quei siti internet che pagano di più, penalizzando invece chi non ha la possibilità di permettersi determinate tariffe (la c.d. creazione di fast lanes), e influenzare il modo in cui gli utenti utilizzano il web, indirizzandoli spesso a loro insaputa verso determinati contenuti.
La nuova amministrazione americana mette in discussione i passi avanti fatti
Il 18 maggio scorso, è passata la mozione di Ajit Pai, recentemente nominato presidente della FCC dall’amministrazione Trump. Essa consiste nella fine della Net Neutrality e nel ritorno allo stato precedente, in cui non sarà più applicabile nessuna regola che protegga dai comportamenti lesivi esemplificati in precedenza. Il tutto andrebbe a favore di chi è in grado di pagare di più, ed a detrimento di tutti quei piccoli soggetti che però contribuiscono alla fermentazione delle idee e dell’innovazione nello spazio digitale: startuppers, blogger e non profits tra i primi.
Pai ha cercato di rassicurare, argomentando che gli ISPs possono sempre inserire delle promesse ai consumatori nei loro terms of service. Tuttavia è evidente la debolezza di questa tutela, essendo i terms of service garanzia di scarsa valenza giuridica, nonché soggetti al cambiamento al minimo volere dell’azienda che li ha emanati.
In Italia è un tema ancora poco sentito, ma essendo che i colossi di questo ambito sono principalmente americani, la Net Neutrality non è un argomento di cui possiamo sentirci completamente immuni.
Se questo blog ti ha incuriosito sul tema della Net Neutrality, e hai voglia di approfondirlo segui l’iniziativa che Electronic Frontier Foundation lancerà il 12 giugno prossimo, supportata anche da grandi nomi quali Amazon, Kickstarter, Vimeo e Mozilla.
Articolo di: Michele Bacchion